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sabato 26 settembre 2015

Pedagogista clinico: per saperne di più



<< L’aggettivo “clinico” non è da intendersi nella sua accezione medica, ma definisce la finalità educativa come azione umana di aiuto all’individuo o al gruppo. Questo specialista opera in linea con un progetto di trasformazione della società e valorizzazione di ogni singola persona; con la sua professionalità ormai ampiamente consolidata, lotta costantemente contro le carenze educative, l’ignoranza, l’insicurezza, difendendo ogni soggetto, sollecitando la progressione della collettività e muovendo verso un futuro di speranza (Pesci G., 2004b).
Per provvedere a ciò, il Pedagogista Clinico rivolge il suo impegno non alla “patologia”, e perciò al “malato”, ma alla persona che vive con disagio le caratterizzazioni evolutive e non patologiche derivate dai cambiamenti riscontrati nel corso dell’esistenza. Anziché adattarsi alle “carenze” del soggetto attuando un intervento fondato sul concetto di “insufficienza”, il pedagogista clinico conduce un recupero che parte dalle potenzialità del soggetto stesso: per aiutarlo proficuamente, lo specialista dà significato alle reazioni della sua personalità, a quell’insieme di forze e di spinte a cui quotidianamente questi è sottoposto, in modo tale da promuovere il superamento degli stati di difficoltà o disagio. Alla persona viene assicurata la possibilità di sviluppare e affinare tutte le proprie abilità e capacità potenziali; essa viene considerata nella sua globalità, come un’unità complessa, ricca di risorse interiori e che, per conseguire nuovi equilibri, necessita di un intervento clinico. Il progetto di recupero non trascura i turbamenti provocati dalle suddette difficoltà, ma allo stesso tempo realizza un’educazione strategica, egodinamica, polieducativa e olistica (Pesci G., Mani M., a cura di, 2007).
Lo specialista concretizza il suo intervento adottando metodologie capaci di favorire un’equilibrata evoluzione socio-relazionale e psico-affettiva e agevolare la formazione di una personalità forte che sostituisca le impressioni sconnesse, le preoccupazioni e i disagi intimi.
Questa figura professionale non si distingue dagli altri specialisti esclusivamente per la quantità e varietà di metodi adottati, ma anche per la specialità dell’approccio al soggetto, in quanto presenta un modo diverso di rapportarsi all’individuo e alla società intera. Il pedagogista clinico volge al progresso dell’uomo, si propone con incisività contro ogni conformismo e s’impegna professionalmente per contrastare la sanitarizzazione della società.  L’idea chiave per una politica nuova è la prevenzione realizzata per mezzo di una pedagogia clinica legata ad un progetto di valorizzazione del singolo uomo e tendente a ridurre i bisogni sanitari per agevolare il recupero delle energie vitali e lo svecchiamento globale ( Pesci S. e coll., 2009).
E’ questa un’identità professionale nata dai bisogni della società di oggi: le persone sono oberate da troppi consigli, troppe guide da seguire, dimentiche che nessuno tranne loro stesse può sapere quale sia la giusta strada da intraprendere. L’uomo attuale non ha bisogno di risposte, ma di mettersi in ascolto di sé, di ritrovare le proprie forze ergiche e di sviluppare una rinnovata fiducia nelle proprie potenzialità. >>

Tratto dalla mia tesi in Pedagogia Clinica "Transizioni - dalla difficoltà al cambiamento"

mercoledì 23 settembre 2015

Stop saying

Ho notato che i bambini a scuola molto spesso dicono la frase NON MI RIESCE

Prima di provare, talvolta ancora prima di sapere con esattezza che cosa c'è da fare.

Sono frasi, buttate lì, che ripetute diventano un atteggiamento caratteristico della persona e "corrompono" le potenzialità dell'adulto futuro.

Noi adulti, insegnanti, genitori e professionisti, dobbiamo cercare di scalfire questa certezza della propria inettitudine. Mettendo questo nuovo divieto: vietato dire non ci riesco
E vietiamolo anche a noi stessi! 

Inoltre è utile riflettere sul fatto che questo genere di "mantra", lo abbiamo insegnato proprio noi.

sabato 19 settembre 2015

Un'idea interdisciplinare

Se andiamo a curiosare fra alcune delle nostre vecchie abitudini che sono quasi (o del tutto) andate perdute, possiamo trovare interessantissimi spunti per attività da proporre ai nostri bambini a scuola... o anche a casa, come genitori.

Una pratica che ritengo ottima è la corrispondenza, ed anche lo scambio di cartoline.

Esiste un sito chiamato POSTCROSSING che in totale sicurezza permette lo scambio di cartoline fra persone di tutto il mondo.

http://www.postcrossing.com/

Come funziona?

Semplicissimo: dopo essersi iscritti ed aver creato il proprio account, il sito ci fornisce un massimo di 5 indirizzi random di persone di tutto il mondo a cui inviare cartoline, sulle quali apporremo un codice. Quando la persona riceve la cartolina, la registra sul sito e si sblocca la possibilità di mandarne una nuova. E così via.

Perchè può essere utile per i bambini?

- E' divertente ricevere posta! (Il gioco e il divertimento sono altamente formativi)

- Si imparano cose nuove su culture e persone lontane da noi (geografia e cittadinanza)

- Ci esercitiamo nell'uso delle lingue (inglese)

- Ci alleniamo nell'uso del pc (informatica e tecnologia)

- Le cartoline talvolta sono piccole opere d'arte (arte e immagine)

Consiglio: l'account può essere intitolato alla classe, mettendo l'indirizzo (che rimane segreto eccetto per colui che dovrà inviare la cartolina), oppure ad un'insegnante.

Cosa aspettate??
Buon divertimento ^_^

giovedì 17 settembre 2015

Educazione naturale



Il corredo genetico è solo una piccola parte dell’enorme patrimonio che i genitori donano ai figli. L’educazione si forma soprattutto attraverso le azioni e l’esempio: la famiglia inizia a “raggranellare” il corredo sociale e comportamentale per i figli molto prima che essi arrivino. Esperienze, valori, tradizioni: tutto quello che forma la quotidianità e la serenità della coppia sarà poi proposto al bambino, per loro soggetto da amare al quale regalare ciò che si possiede di più prezioso: la propria cultura

Con questo non sarebbe d’accordo Rousseau; alla base della sua concezione pedagogica troviamo la forte opposizione tra natura e cultura: allo stato di natura l'uomo vive in una condizione di uguaglianza e libertà, nella società e con la cultura si trova costretto tra imposizioni e disuguaglianza. Sulla base di queste premesse l'autore postula che l'educazione debba necessariamente essere naturale, ovvero deve consistere nell'insieme delle facoltà umane e intellettive proprie dello stato originario dell'uomo, le quali vengono sistematicamente corrotte nella società contemporanea da civiltà e cultura. Ma una mediazione è necessaria, soprattutto ai giorni nostri, dopo che molti studiosi (da Ariès fino a Freud e seguenti) hanno riconosciuto l’enorme importanza dell’infanzia e lo status sociale di bambino

Ogni genitore sviluppa un naturale istinto su cosa sia importante per il proprio figlio, istinto che gli permetterà di comprendere i suoi bisogni, le richieste ancora prima che sopraggiunga la parola, i limiti che gli sono necessari; la società – a volte appoggiandosi alla ricerca, altre soltanto sulle dicerie- è entrata nel nucleo familiare, dispensando consigli generali che male si adattano ad ogni singola persona, possono essere risolutivi in una situazione ma inutili con altri soggetti protagonisti. 

L’intervento pedagogico ad personam invece può accompagnare con grande efficacia la famiglia che si trovi in uno stato di difficoltà. Stimola la riflessione su quali significati possano avere i campanelli di allarme che possono essersi accesi all’interno della quotidianità familiare, dando ascolto ai più piccoli per dar voce alle loro richieste e comprendere necessità sottovalutate.

L’educazione nasce naturale, ma il percorso talvolta può subire deviazioni o traumi che facciano deragliare l’istinto insito nel genitore. Ferite collezionate durante la propria formazione fanno sì che l’adulto desideri rimediare comportandosi col proprio figlio in maniera opposta, oppure in mancanza di consapevolezza potrebbe riproporre il modello disfunzionale dando nuovo respiro ad un problema ancora irrisolto. La riflessione, il mettersi in discussione e quindi in gioco, in cerca di miglioramento, possono forzare in un primo momento la naturalità del rapporto ma in maniera positiva, alla ricerca di nuove strategie educative da costruire insieme all’interno della coppia che poi sboccia nell’intero nucleo familiare per una ritrovata serenità.

Una naturalità dell’educare quindi da ritrovare, riscoprire, in aggiustamento ed evoluzione continui.

martedì 15 settembre 2015

Music Together



Siamo essere musicali.


Fin dai primi giorni di vita siamo sospesi nei suoni che ci arrivano attutiti nel ventre materno, ascoltiamo i rumori, le melodie, il suono della voce della mamma. Per questo nasciamo già predisposti alla musica. I bambini infatti ne sono grandi estimatori: è bello scoprire che basta il proprio corpo per produrre un suono (il battito delle mani o dei piedi, far schioccare la lingua, ecc), il ritmo genera allegria, tutto può diventare uno strumento, a partire dalla propria voce fino ad arrivare ad un coperchio battuto con un cucchiaio. 

Scoprire la musica è formativo perché è un riscoprire se stessi, è esplorare il mondo da un punto di vista originale, è conoscere, soprattutto è divertirsi. E come ogni esperienza, viene amplificata nel suo significato affettivo se affrontata insieme.

I corsi “Music Together” miscelano tutti questi ingredienti. Li ho scoperti per caso grazie ad un loro banchetto informativo e ne ho davvero fatto tesoro. 

 http://www.musictogetheranterre.it/

Si articolano in cicli stagionali di circa 10 incontri. I bambini (dagli zero ai 5 anni) partecipano insieme a genitori, nonni oppure tate, i quali non stanno a guardare ma cantano, ballano, suonano con loro divertendosi un mondo. Perché fa bene ogni tanto “smontarsi” un po’.

Ho partecipato con mio figlio iniziando quando aveva solo 6 mesi, ma nonostante la tenera età è stato divertente sia per me che per lui. Gli insegnanti danno indicazioni in più da seguire con i piccolissimi, da ripetere anche a casa con l’accompagnamento del cd. 

Esperienza consigliatissima! 


PRINCIPI BASE DELLA FILOSOFIA DI MUSIC TOGETHER


1. Tutti i bambini sono musicali.

2. Inoltre, tutti i bambini possono raggiungere le competenze musicali di base.
Il Center for Music and Young Children© di Princeton definisce le competenze musicali di base come la capacità di memorizzare melodie e ritmi e riprodurli mediante movimenti ritmicamente accurati e canto intonato.

3. L'esempio e la partecipazione dei genitori o di chi si cura del bambino, a prescindere dalle loro capacità musicali, è essenziale per la crescita della sua musicalità.

4. Questa crescita è favorita da un ambiente giocoso, stimolante e non orientato alla performance musicale, che offre un'esperienza musicalmente ricca ma allo stesso tempo incoraggia la partecipazione di bambini e adulti.

I compiti a casa


Come aiutare i nostri bimbi nei compiti a casa?

Sul web troviamo un sacco di regole da seguire per far fronte a questo che per molti, talvolta, di trasforma in un incubo.

Come per quasliasi altra situazione da affrontare, purtroppo (o per fortuna?) non esistono regole preconfezionate che vadano bene per tutti. Può essere utile perciò chiedere suggerimento alle insegnanti che conoscono i bambini in questione, o il consiglio di un esperto quando c'è bisogno di un aiuto in più.

Ecco qui di seguito alcune linee guida generali, che vanno in goni caso adattate alla propria situazione ed esperienza.

1. Non aiutare un bambino che non ha bisogno di aiuto!
Non tutti i bambini hanno davvero bisogno dell'adulto per fare i compiti. Volerli affiancare forzatamente crea insicurezza e mina l'autonomia personale. Ben venga che facciano da soli: se poi c'è qualche errore, pazienza. Le maestre ci sono apposta.

2. Aiuto o compagnia?
La richiesta della vicinanza del babbo o della mamma per svolgere i compiti non sempre nasce da un reale bisogno di aiuto, ma dalla voglia di essere vicini o fare qualcosa insieme. In questo caso è bello accontentarlo, osservarlo mentre lavora, dare fiducia. Potrà poi continuare da solo, nella consapevolezza di poter riuscire e di avere aiuto in caso di difficoltà.

3. Spazio e tempo
Tutti i bambini, quelli che studiano in maniera autonoma e quelli che hanno difficoltà, necessitano di uno spazio adatto allo svolgimento dei compiti e di tempo libero per poterlo fare. Lo spazio: che sia tavolo, scrivania, studio o cucina, deve rispettare le sue necessità, ovvero niente confusione, distrazioni, tv accesa; è un modo per dare importanza al suo lavoro. Il tempo: se tutti gli spazi vuoti vengono riempiti da impegni, il bambino tenderà a fare i compiti di fretta per far sì di avere un pochino di tempo libero. Lasciamo che ne abbia sempre a disposizione, così potrà studiare con più calma.

4. Dsa e Bes
Quando le difficoltà sono oggettive, ci vuole qualche accorgimento in più. I programmi individualizzati e le insegnanti vengono incontro al bambino con strumenti dispensativi, compensativi e con un carico di compiti adeguato alla possibilità. Oltre questo, a casa è utile:

- usare schemi che semplifichino il più possibile i contenuti e li rendano "visibili" e concreti



- leggere a voce alta prima o dopo che lo ha fatto il bambino

-  aiutarlo a seguire le parole col dito, oppure coprendo con un foglio la riga successiva, oppure scandendo il ritmo della lettura battendo la mano sul tavolo

- fare pause frequenti (almeno una ogni ora)

- attuare strategie mirate per il tipo di difficoltà

5. Quando i contenuti sono troppo lontani dal nostro vissuto quotidiano, oppure se la pazienza non è il nostro forte, non esitiamo a chiedere l'aiuto !

Buon inizio anno scolastico!

venerdì 11 settembre 2015

DSA e difficoltà di apprendimento



Le difficoltà di apprendimento sono un tema che negli ultimi anni è salito in primo piano per tutti coloro che si occupano della formazione e dell’istruzione dei più giovani: insegnanti, genitori, professionisti nelle relazioni d’aiuto, associazioni educative. Sono aumentate le diagnosi dei disturbi specifici dell’apprendimento (dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia), in alcune scuole sono stati organizzati screening a tappeto per la prevenzione di tali “disturbi”, il tutto accompagnato da una legislazione ad hoc rivolta agli insegnanti: laddove un bambino risulti “DSA” ci sono strumenti compensativi e dispensativi da mettere in atto, come ad esempio l’uso della calcolatrice per la matematica o del computer in soccorso alla scrittura. 

L’uso massiccio di questo genere di etichette ha come conseguenza il perdere di vista la persona che abbiamo davanti: un bambino caratterizzato dalle proprie passioni e dalle proprie potenzialità, con necessità personali e bisogni di spazi propri per esprimersi, propri di qualsiasi bambino. Focalizzarsi sul disagio non permette di venire incontro a questa vastissima gamma di sfaccettature necessarie ad una crescita in serenità a benessere.

 L’obiettivo di ogni tipo di formazione deve essere permettere alla persona di raggiungere il piacere di vivere grazie ai propri mezzi, in “capace autonomia”. Gli strumenti dispensativi e compensativi non compensano in realtà il bisogno di sentirsi efficiente ed efficace, ma mettono in una situazione di diversità rispetto ai compagni. Il bambino non è invogliato a trovare soluzioni proprie, non viene affiancato e accompagnato nel suo personale cammino di crescita, ottiene soltanto ausili che lo lasceranno nella sua situazione di svantaggio e inefficacia nei confronti della realtà. 

Di pari passo a questo proliferare di diagnosi si è diffusa anche una buona dose d’ignoranza generalizzata. Spesso i genitori attribuiscono ad un ipotetico DSA qualsiasi difficoltà un bambino possa incontrare nel suo percorso scolastico, annullando in questo modo l’ipotesi e perdendo la consapevolezza che l’apprendimento è un processo molto complesso, dipendente da molteplici fattori e quindi risultante di situazioni che possono anche essere totalmente altre rispetto a deficit fisiologici o disturbi specifici. E’ importante in questi casi mettersi in ascolto del bambino: la scuola è un canale privilegiato di partenza, giacché tutti i bambini devono transitarvi e trascorrervi grande parte delle loro giornate. I campanelli di allarme che possono emergere sono tantissimi; le difficoltà nell’apprendimento sono messaggi da decifrare. Che cosa c’è che non va? Cosa il bambino vuole comunicare al mondo adulto? L’osservazione e l’ascolto sono le prime risposte da offrire al posto di test standardizzati e anonimi che perquisiscano a tappeto le competenze di vasti range di alunni.

Per apprendimento si intendono le potenzialità di una persona al fine di trovare nuove soluzioni più convenienti per acquisire nuove conoscenze e competenze. E’ un dato interiorizzato, stabile, declinabile in modalità diverse, per cui in continuo arricchimento; se non si è in grado di fare variazioni, non è una competenza e non è possibile procedere nell’apprendimento. Quando si riscontrano difficoltà in questo ambito dipendono da uno o più degli elementi di base divenuti deficitari. I presupposti sono: la motivazione, l’equilibrio psichico, le aspettative provenienti dall’esterno.

L’assunzione di un nuovo dato richiede l’equilibrio psico-fisico del soggetto, ovvero una buona motivazione, una sensazione soggettiva che il dato sia importante o indispensabile. Nell’adulto la motivazione è in parte razionale in parte progettuale, mentre nel bambino è essenzialmente emozionale e ludica: ha bisogno di un affetto che lo muova positivamente in direzione dell’acquisizione del dato proposto. Perciò questo processo è facilmente inibito alla presenza di grandi fluttuazioni emozionali, di stati emotivi di ansia o allarme (funzionale solo se non supera i livelli di guardia). A questo si aggiunge poi la frustrazione di voler fare qualcosa ma non riuscirci, oppure la mancata ricezione positiva dal mondo esterno (negli adolescenti, ad esempio, può essere forte lo squilibrio fra la percezione del proprio operato e quella che invece è la realtà dei fatti). 


Dare un’etichetta alla presenza di una difficoltà è una soluzione semplice: però la maggior parte dei disturbi non sono di natura funzionale, hanno bensì la loro causa nella motivazione. Quest’ultima è influenzata dall’ambiente culturale dove il bambino vive e cresce, dalle aspettative di coloro che lo circondano, dalle modalità che gli vengono donate o negate di esprimere il proprio essere per quello che è.