Di pari passo al recente
proliferare di diagnosi si è diffusa anche una buona dose d’ignoranza
generalizzata. Spesso i genitori attribuiscono ad un ipotetico DSA qualsiasi
difficoltà un bambino possa incontrare nel suo percorso scolastico, annullando
in questo modo l’ipotesi e perdendo la consapevolezza che l’apprendimento è un
processo molto complesso, dipendente da molteplici fattori e quindi risultante
di situazioni che possono anche essere totalmente altre rispetto a deficit
fisiologici o disturbi specifici. E’ importante in questi casi mettersi in
ascolto del bambino: la scuola è un canale privilegiato di partenza, giacché
tutti i bambini devono transitarvi e trascorrervi grande parte delle loro
giornate. I campanelli di allarme che possono emergere sono tantissimi; le
difficoltà nell’apprendimento sono messaggi da decifrare. Che cosa c’è che non
va? Cosa il bambino vuole comunicare al mondo adulto? L’osservazione e
l’ascolto sono le prime risposte da offrire al posto di test standardizzati e
anonimi che perquisiscano a tappeto le competenze di vasti range di alunni.
Per apprendimento si
intendono le potenzialità di una persona al fine di trovare nuove soluzioni più
convenienti per acquisire nuove conoscenze e competenze. E’ un dato
interiorizzato, stabile, declinabile in modalità diverse, per cui in continuo
arricchimento; se non si è in grado di fare variazioni, non è una competenza e
non è possibile procedere nell’apprendimento. Quando si riscontrano difficoltà
in questo ambito dipendono da uno o più degli elementi di base divenuti
deficitari. I presupposti sono: la motivazione, l’equilibrio psichico, le aspettative
provenienti dall’esterno.
L’assunzione di un
nuovo dato richiede l’equilibrio psico-fisico del soggetto, ovvero una buona
motivazione, una sensazione soggettiva che il dato sia importante o
indispensabile. Nell’adulto la motivazione è in parte razionale in parte
progettuale, mentre nel bambino è essenzialmente emozionale e ludica: ha
bisogno di un affetto che lo muova positivamente in direzione dell’acquisizione
del dato proposto. Perciò questo processo è facilmente inibito alla presenza di
grandi fluttuazioni emozionali, di stati emotivi di ansia o allarme (funzionale
solo se non supera i livelli di guardia). A questo si aggiunge poi la
frustrazione di voler fare qualcosa ma non riuscirci, oppure la mancata
ricezione positiva dal mondo esterno (negli adolescenti, ad esempio, può essere
forte lo squilibrio fra la percezione del proprio operato e quella che invece è
la realtà dei fatti).
Un dato per essere
assunto deve essere prima di tutto percepito, ovvero riconosciuto fra quelli
che provengono dagli organi sensoriali: viviamo in un bombardamento costante di
dati uditivi e visivi; nell’apprendimento è necessario selezionare quelli che
sono funzionali da quelli che invece non servono. Questo genere di
disponibilità può essere frenato dalla mancata coordinazione corporea o da
anomalie presenti nell’elaborazione cognitiva (derivanti anche da processi
legati a difficoltà sensoriali). E’ perciò importante controllare la presenza o
meno di deficit a livello uditivo e visivo.
Dare un’etichetta alla
presenza di una difficoltà è una soluzione semplice: però la maggior parte dei
disturbi non sono di natura funzionale, hanno bensì la loro causa nella
motivazione. Quest’ultima è influenzata dall’ambiente culturale dove il bambino
vive e cresce, dalle aspettative di coloro che lo circondano, dalle modalità
che gli vengono donate o negate di esprimere il proprio essere per quello che
è.
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