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mercoledì 4 novembre 2015

Non sono tutti DSA



Di pari passo al recente proliferare di diagnosi si è diffusa anche una buona dose d’ignoranza generalizzata. Spesso i genitori attribuiscono ad un ipotetico DSA qualsiasi difficoltà un bambino possa incontrare nel suo percorso scolastico, annullando in questo modo l’ipotesi e perdendo la consapevolezza che l’apprendimento è un processo molto complesso, dipendente da molteplici fattori e quindi risultante di situazioni che possono anche essere totalmente altre rispetto a deficit fisiologici o disturbi specifici. E’ importante in questi casi mettersi in ascolto del bambino: la scuola è un canale privilegiato di partenza, giacché tutti i bambini devono transitarvi e trascorrervi grande parte delle loro giornate. I campanelli di allarme che possono emergere sono tantissimi; le difficoltà nell’apprendimento sono messaggi da decifrare. Che cosa c’è che non va? Cosa il bambino vuole comunicare al mondo adulto? L’osservazione e l’ascolto sono le prime risposte da offrire al posto di test standardizzati e anonimi che perquisiscano a tappeto le competenze di vasti range di alunni.
Per apprendimento si intendono le potenzialità di una persona al fine di trovare nuove soluzioni più convenienti per acquisire nuove conoscenze e competenze. E’ un dato interiorizzato, stabile, declinabile in modalità diverse, per cui in continuo arricchimento; se non si è in grado di fare variazioni, non è una competenza e non è possibile procedere nell’apprendimento. Quando si riscontrano difficoltà in questo ambito dipendono da uno o più degli elementi di base divenuti deficitari. I presupposti sono: la motivazione, l’equilibrio psichico, le aspettative provenienti dall’esterno.
L’assunzione di un nuovo dato richiede l’equilibrio psico-fisico del soggetto, ovvero una buona motivazione, una sensazione soggettiva che il dato sia importante o indispensabile. Nell’adulto la motivazione è in parte razionale in parte progettuale, mentre nel bambino è essenzialmente emozionale e ludica: ha bisogno di un affetto che lo muova positivamente in direzione dell’acquisizione del dato proposto. Perciò questo processo è facilmente inibito alla presenza di grandi fluttuazioni emozionali, di stati emotivi di ansia o allarme (funzionale solo se non supera i livelli di guardia). A questo si aggiunge poi la frustrazione di voler fare qualcosa ma non riuscirci, oppure la mancata ricezione positiva dal mondo esterno (negli adolescenti, ad esempio, può essere forte lo squilibrio fra la percezione del proprio operato e quella che invece è la realtà dei fatti).
Un dato per essere assunto deve essere prima di tutto percepito, ovvero riconosciuto fra quelli che provengono dagli organi sensoriali: viviamo in un bombardamento costante di dati uditivi e visivi; nell’apprendimento è necessario selezionare quelli che sono funzionali da quelli che invece non servono. Questo genere di disponibilità può essere frenato dalla mancata coordinazione corporea o da anomalie presenti nell’elaborazione cognitiva (derivanti anche da processi legati a difficoltà sensoriali). E’ perciò importante controllare la presenza o meno di deficit a livello uditivo e visivo.


Dare un’etichetta alla presenza di una difficoltà è una soluzione semplice: però la maggior parte dei disturbi non sono di natura funzionale, hanno bensì la loro causa nella motivazione. Quest’ultima è influenzata dall’ambiente culturale dove il bambino vive e cresce, dalle aspettative di coloro che lo circondano, dalle modalità che gli vengono donate o negate di esprimere il proprio essere per quello che è.

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