Perchè riportare un'esperienza del genere in un blog di pedagogia?
Perchè la pedagogia è azione, è teoria che si fa prassi, si mette alla prova e costruisce teoria nuova. E' un fare in evoluzione, e non c'è esperienza migliore di quella fatta da chi si mette alla prova in prima persona, mettendosi seriamente in gioco!
Ecco l'intervista, buona lettura a tutti!
Dal 10 settembre al 25 ottobre
2015 sono stata in missione Indonesia, presso la Comunità delle Ancelle del
Sacro Cuore che hanno una missione nel piccolo villaggio di Borong, sull’isola
di Flores. Quest’isola si trova a due ore di aereo da Bali, ed è una delle più
povere dell’arcipelago indonesiano: dispone addirittura di una sola strada
semi-asfaltata (priva di illuminazione notturna!) che collega tutti i suoi
villaggi attraverso montagne e boschi. Gli ospedali sono pochi (per raggiungere
il primo sono necessarie anche due ore in auto) e c’è una perenne emergenza
idrica e alimentare che coinvolge soprattutto le numerose famiglie che vivono
isolate nell’ entroterra.
Piccola curiosità antropologica:
sull’isola di Flores fino a circa 50,000 anni fa viveva l’Homo Floresiensis, un
ominide appartenente a una specie umana scoperta da poco che fu per un certo
periodo contemporanea all’Homo sapiens, insieme all’Homo di Neanderthal!
Che cosa ti ha spinto
a scegliere un viaggio del genere?
Il desiderio di andare in
missione esiste in me già da quando ero molto piccola, ma non avevo mai pensato
seriamente di realizzarlo fino a qualche anno fa, quando il sacerdote della
parrocchia che frequento abitualmente è diventato direttore del Centro diocesano
missionario di Napoli e ha iniziato a organizzare periodicamente viaggi
missionari per giovani della parrocchia in Guatemala e Messico. Sono entrata a
far parte anch’io del gruppo missionario e avrei tanto voluto partecipare a
quei viaggi ma non potevo per motivi lavorativi… allora, quando per un periodo
mi sono trovata libera da impegni e una mia amica suora delle Ancelle del Sacro
Cuore mi ha invitata a trascorrere un po’ di tempo nella sua missione in
Indonesia, ho colto l’occasione al volo! Sono stata una missionaria “solitaria”
ma in compenso ho potuto trascorrere lì più tempo (di solito le missioni di
gruppo durano dalle 3 alle 4 settimane, e si svolgono quasi esclusivamente nel
mese di agosto).
2. Qual è stato il
tuo ruolo all'interno della comunità?
Ho aiutato le aspiranti, le
prenovizie e le novizie (tutte ragazze giovanissime, tra i 16 e i 23 anni!) a
occuparsi dei bambini nel nido: le suore infatti dispongono sia di una scuola
elementare con maestre qualificate sia di un nido per bambini da 0 a 3 anni,
figli di persone che non possono occuparsene quotidianamente perché lavorano
spesso a diversi chilometri da casa. Cambiavo pannolini, davo il latte, giocavo
con i bambini e li cullavo per farli addormentare quando era l’ora del pisolino
pomeridiano! Poi ho insegnato inglese e italiano alle ragazze, e questo mi ha
consentito di conoscerle meglio e affezionarmi in modo incredibile anche a
loro. Peccato essermene dovuta andare proprio quando la comunicazione tra noi
stava diventando più agevole! Partecipavo attivamente anche alla vita della
comunità e alle attività comuni di preghiera, giardinaggio, cura del convento.
Per il loro bene però non ho mai cucinato!
3. Quali emozioni,
legate ai ricordi, hai riportato con te a casa?
Non volevo più andarmene! Mi ero
così affezionata ai bambini, alle ragazze del convento, alle persone del
villaggio…ogni volta che ripenso a loro, al semplice affetto che sono in grado
di trasmettere anche se non ti conoscono e a come ti fanno sentire benvenuto e
accolto mi viene una nostalgia incredibile e ci tornerei subito! La gioia e
l’emozione di stare con i bambini poi era indescrivibile…due neonati di cui mi
sono occupata ormai li consideravo quasi figli o fratellini. Poi ho avuto modo
di visitare un po’ la splendida Indonesia, e anche i paesaggi che ho visto mi
sono rimasti nel cuore.
4. Consiglieresti
questo tipo di esperienza? Se sì, a chi rivolgeresti questo consiglio?
Consiglierei quest’esperienza
praticamente a tutti. Non ci sono controindicazioni per andare in missione:
basta avere un po’ di tempo (3 settimane sono il minimo) e armarsi di buona
volontà e spirito d’avventura! Però non bisogna temere di lasciarsi
trasformare… perché fidatevi, chi torna da una missione non è la stessa persona
che è partita! È un’esperienza forte che tocca nel profondo e influenza per
sempre anche la propria vita normale. Comunque ci sono vari tipologie di
missione, che dipendono anche dai luoghi in cui ci si reca, e ognuno può
scegliere quella che ritiene più adatta a sé anche valutando il proprio spirito
di adattamento: l’Indonesia è uno dei posti più tranquilli al mondo perché non
ci sono conflitti (a parte qualche problema sporadico nella capitale, che
comunque è lontana dai luoghi di missione) e 5 religioni diverse vi convivono
in perfetta armonia da secoli; poi non bisogna effettuare vaccinazioni e il
cibo è semplice ma molto sano. Certo, non c’è l’acqua corrente calda e ci sono
un bel po’ di formiche, ma queste piccole scomodità sono ampiamente compensate
dalla bellezza del viaggio e dei rapporti umani costruiti lì. Poi ci sono
missioni più “toste” che hanno come scenario luoghi maggiormente pericolosi o
disagiati (il Messico è uno di questi, ma anche certi posti dell’Africa), e
quelle ovviamente non le consiglierei a chi è alla prima esperienza. Conoscere
la lingua locale è un vantaggio ma non è indispensabile per la missione,
soprattutto se si conosce almeno l’inglese o se ci si reca in strutture gestite
da missionari italiani.
5. Il ricordo più
bello?
Difficile sceglierne uno, sono tantissimi…forse
però il modo in cui mi guardava uno dei neonati di cui più mi sono presa cura,
e il modo in cui sorrideva quando mi vedeva arrivare. Credo sia la più pura
espressione d’amore che abbia mai visto. Ma anche il viaggio presso la comunità
dei Missionari dei poveri è stato indimenticabile: questi frati, provenienti da
tutto il mondo, si occupano dei bambini con deficit mentali che le famiglie
abbandonano a sé stessi. Uno di questi bambini (che aveva 11 anni, anche se ne
dimostrava 5) all’inizio non voleva neanche guardarmi, poi piano piano si aprì
e mi portò per mano a visitare il convento! Non parlava (credo avesse anche
qualche problema legato al linguaggio) ma rideva quando gli dicevo qualcosa nel
mio indonesiano stentato e capii subito che ormai mi considerava sua “amica”. È
stata una bellissima esperienza.
Se potete, partite! Non ve ne pentirete ^^
Nessun commento:
Posta un commento